PIEDIMONTE MASSICANO frazione di SESSA AURUNCA (CASERTA)


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PANORAMA GENERALE

PANORAMA DAL CAMPANILE

PARROCCHIA S.ERASMO


-- CARTINA AUTOSTRADALE --


-- PIEDIMONTE E LA SUA STORIA --

 

Piedimonte Massicano è uno dei maggiori casali del Comune di Sessa Aurunca sia per numero di abitanti (2250 circa) che per estensione territoriale (3500 ettari) e prende il nome dal fatto che sorge e quasi si adagia a Piè di Monte Massico.

A 9 Km da Sessa, con un'altitudine di 47 m. sul livello del mare, si distende lungo le ultime pendici del Massico e la pianura orientale del Garigliano.

Là composto da due rioni, Massicani e Rivoli, poco distanti uno dall'altro, uniti tra loro dalla Piazza di recente costruzione (1970).

Storicamente sappiamo che il paese è molto antico: le sue origini si perdono nel tempo.

Da un esame della struttura muraria, anche se non riscontriamo uno stile particolare che ci aiuti a classificare le case in un'epoca precisa, dobbiamo dire che presentano delle caratteristiche proprie.

Chiaramente si distinguono tre epoche di costruzione: antica, media e moderna.

Le abitazioni del periodo antico furono costruite, per lo più, con tufo nero, friabile, mescolato, a volte, con pietra viva.

Queste abitazioni che si trovano nei centri storici Massicani e Rivoli (agglomerato di fronte alla Chiesa, fino a poco oltre via Storta), presentano caratteristiche proprie: l'arco e il cortile interno.

Su qualche arco troviamo inciso l'anno di costruzione: per lo più si aggira sempre intorno al 1600. Ciò significa che le attuali case antiche sono la risultanza di vecchie restaurate oppure costruzioni su vecchie preesistenti.

Le abitazioni del periodo medio sono tutte quelle che si trovano lungo la strada centrale che dai Massicani porta verso Rivoli, sul lato destro.

La maggior parte di loro sono state costruite nella prima metà del 1900.

Molti anziani ricordano che in tempi non remoti il paese non era così esteso come lo è attualmente.

Per quanto riguarda le abitazioni più recenti, in modo particolare il rione Petrale, Via Case Popolari, Vico Cieco, Via Stazione, Paradiso ecc. la loro costruzione risale, circa, agli anni 1960-70. Non mancano quelle recentissime.

Anche nelle ultime costruzioni non si nota uno stile particolare e tutte hanno un piano terra con un primo piano.

Le notizie storiche riguardanti espressamente Piedimonte Massicano sono molto limitate e si mescolano con la storia di Sessa.

Vari autori latini nelle loro opere menzionarono la zona che circonda il Massico solo per ricordare i luoghi di villeggiatura e per magnificare l'ottimo vino Falerno che vi si produceva. Tra essi Tito Livio, Virgilio, Plinio il Giovane, Cicerone, Macrobio, Petronio, Marziale ed altri.

Quintola nel I 500 d.C. era più grande di Piedimonte. Infatti nel1"Università di Sessa era la frazione con più fuochi (nuclei familiari), 104 fuochi con 624 abitanti circa. Con la scomparsa di Sinuessa e di Quintola, Piedimonte sì ingrandì e divenne uno dei casali più grandi del comune di Sessa.

Consultando i documenti d'archivio scopriamo che dal 1500 d.C. l'università (Comune) di Sessa, essendo territorialmente molto vasta, per meglio amministrare i numerosi casali o villaggi e per poter più facilmente riscuotere le tasse, era divisa in cinque zone dette Terzieri.

Uno di essi era quello di Piedimonte che comprendeva tutta la zona che si estende dal mare (Le Vagnole) fino a Sorbello-Avezzano.

A capo del Terziere (o Università), dipendente dall'Università centrale di Sessa, vi erano due Sindaci che duravano in carica un solo anno e a fine del mandato dovevano rendere conto del proprio operato amministrativo.

Tali Sindaci non potevano imporre tasse e neppure riscuoterle; tutte le decisioni dovevano essere sottoposte al consenso dei tre Sindaci di Sessa, centro dell'Università.

La divisione dell'Università in Terzieri durò fino all'unità d'Italia e Piedimonte spesso si trovò in contrasto con il Centro a causa della non giusta ripartizione delle entrate fiscali.

Dal medio evo al secolo scorso la zona del Massico è stata continuamente toccata dalle battaglie combattute sulle rive del Garigliano.

In questi ultimi anni il territorio di Piedimonte, posto in prossimità del mare, ha avuto un notevole sviluppo e villaggi turistici (Baia Felice, Cupole, Baia Azzurra) sono sorti per accogliere i villeggianti nel periodo estivo.

Un incremento di costruzioni si è avuto anche ai piedi del monte, nella zona S. Sebastiano-Castellone, per accogliere villeggianti provenienti per lo più dal napoletano.

Nel 1906 il Vescovo di Sessa Mons. Giovanni M. Diamare, studioso di storia locale, nel suo libro "Memorie Critico-storiche della Chiesa di Sessa" vol. 1, pag. 162, nel descrivere i villaggi sorti nel territorio della distrutta Sinuessa, parlando di Piedimonte scrive:

"Segue a poca distanza dal villaggio di Carano quello di Piedimonte, che dalle osservazioni fatte, bisogna dire faceva una cosa sola col Capo Vescia. Questo villaggio fu detto "de pede de monte" perché realmente sta a pié del monte Massico; e di qui fino alla spiaggia di Mondragone si estendeva l'antica Sinope che poscia, come abbiamo accennato, fu dai Romani chiamata, tutta insieme quell'estensione di terra, Sinuessa.

Non occorre ci fermiamo a dare i diversi indizi della nostra congettura, essendo cosa che si rileva ben facilmente dall'osservazione de' luoghi e de' fabbricati, dai costumi ed abitudini de' medesimi villaggi. Osserviamo solamente che molti avanzi di fabbricati, marmi e simili, sono stati scavati e serviti per innalzare e decorare diverse case.

In questo villaggio, da distinta famiglia, abbiamo avuto una tavola di marmo spezzato, con la parte di un'epigrafe sepolcrale".

 

Consultando il "Lessico Universale Italiano " - Treccani, riscontriamo che nessuna delle frazioni del comune di Sessa, grandi e piccole che siano, vi è menzionata, mentre invece per Piedimonte, nel Vol. XVI, pag. 685, troviamo quanto segue:

"Piedimonte Massicano - Centro (1270 ab.) della prov. di Caserta, nel comune di Sessa (a 7.5 Km.), a 47 m.s.m., presso le pendici occidentali del M. Massico (811 m.)".

 

La zona di Piedimonte ha un clima temperato. Il monte massico (m. 813) protegge il paese dai venti dell'Est, mentre la catena delmassiccio di Roccamonfina protegge tutta la pianura del Garigliano da quelli del Nord.

La vicinanza del mare rende la temperatura dolce e mite per tutto l'inverno e consente la fruttificazione anche degli agrumi. Non scende quasi mai al di sotto dello zero gradi durante l'inverno, né supera i 35-38 durante l'estate. Anche nel mese di settembre resta elevata, consentendo i bagni settembrini.

Le piogge sono piuttosto irregolari e discontinue: si addensano soprattutto nel periodo autunno inverno, meno abbondanti in primavera, scarse in estate. Spesso durante l'estate si lamenta una lunga siccità.

Il paese ha una forma molto allungata, circa 1500 metri, ed è attraversato dalla strada che da Sessa porta a Mondragone.

L'ampio territorio, la cui estensione massima è di Km. 8.500, va dallo spartiacque della catena del Massico al rettifilo della Stazione FF.SS., dalla "Madonnella" (a metà strada con Carano) e Le Vagnole.

Comprende inoltre tutto il territorio a sinistra della strada che, dalla Stazione ferroviaria attraversa Quintola, passando davanti alla fabbrica Morteo, e raggiunge la Domitiana. Lungo questa strada, lato terra, fino all'attuale Baia Felice, una volta anche questa territorio

di Piedimonte.

Il canale che scende verso il mare, a sinistra di Baia Felice, è il confine tra il territorio di Piedimonte (Sessa) e il Comune di Cellole.

Dallo sbocco di questo canale, il rio Trimoletto o D'Auria, nel mare fino a Le Vagnole, al confine con Mondragone, la spiaggia appartiene al territorio di Piedimonte.

All'analisi chimica il terreno della fascia pedemontana del Massico è eminentemente calcareo.

Per quanto attiene la struttura fondiaria del territorio di Piedimonte vi è, oltre alla piccola proprietà, anche la media e la grande.

Negli ultimi anni è andato scomparendo il latifondo. Le famiglie Capizzi, Falco, Irace ecc. hanno ridimensionato le loro proprietà.

Scomparso il latifondo, frazionare le proprietà, ora si ha soltanto la conduzione diretta o in fitto dei fondi terrieri.

 

L'economia locale è prettamente agricola. Nella zona sono sorte anche delle fabbriche (Morteo, Sibelco, Manuli) che hanno dato lavoro alla classe operaia, però solo in modo molto limitato.

Siccome la mano d'opera, specialmente quella maschile, solo parzialmente è stata assorbita dalle fabbriche, una buona parte dei giovani, ad eccezione dei pochi dipendenti del pubblico impiego, degli insegnanti e dei liberi professionisti, cerca occupazione nel campo dell'edilizia.

Si nota anche l'operaio, dipendente della fabbrica, che nei ritagli di tempo libero si dedica alla coltivazione dell'appezzamento di terreno di proprietà dalla famiglia.

Il bracciantato femminile è impegnato soprattutto nei lavori dei campi, e in special modo nella raccolta delle olive, della frutta e nella coltivazione e raccolta degli ortaggi.

Le famiglie che si dedicano solo all'agricoltura vanno scomparendo, così pure il bracciantato agricolo. Ognuno cerca, specialmente la gioventù, un lavoro più stabile e sicuro, anche se non di alta remunerazione. Tutti cercano di fuggire dalla "terra", quasi umiliati di sentirsi, in un certo modo, ad essa legati.

là da notarsi però che, mentre alcuni agricoltori locali sono venuti meno, intorno al 1960 contadini provenienti dal Nocerese e dal Napoletano li hanno rimpiazzati ed hanno portato un cambiamento anche nelle colture tradizionali.

L’economia agricola del passato consisteva nella coltivazione degli ulivi e dei vigneti, nell'allevamento dei bovini e degli ovini. Prodotti tipici erano, oltre all'olio e al vino, i cereali, la lana, la frutta ecc.

Oggi le colture e i prodotti sono alquanto cambiati. Si produce sempre olio e vino, però si è dato impulso alle colture di ortaggi (fagioli, piselli, fave, patate, peperoni, melanzane, pomodori, cavoli, cavolfiori, ecc.) e di alberi da frutta (peschi, albicocchi, peri, meli, susini, ciliegi ecc.), i quali spesso si associano nello stesso campo ed in primavera, per la vivacità della fioritura, danno al paesaggio un tono di incomparabile bellezza e ubertà.

Nell'economia locale la produzione dell'olio è al primo posto. Nella zona di Piedimonte vi è una lunga fascia di uliveti che occupano quasi tutto il territorio tra la strada Sessa-Mondragone e la montagna.

Dalla punta a mare della catena del Massico salendo verso Sessa, fino alla zona delle Toraglie gli uliveti formano quasi una corona di verde intorno a tutta la pianura del Garigliano.

Varie risultano le qualità delle piante di ulivo, per lo più secolari; non mancano le nuove piantagioni.

Le specie più conosciute di ulivi, nella zona, secondo il gergo popolare sono: cicinella, frantoiana, pipolo, cicione, leccina, curatina, olivastri, petraiola o monacarella...

L'ulivo, almeno nella zona di Piedimonte, ma anche in altre, dà i suoi frutti ad anni alterni. Negli anni di abbondanza la produzione di olio si avvicina a 2.500 quintali.

Per ogni quintale di olive la resa in olio differisce sia per il sito che per la qualità delle olive: normalmente varia da 20 a 24 litri al quintale.

Per quanto attiene all'acidità, nel 1991, per le olive raccolte a terra è stata di 0.6, mentre per quelle raccolte direttamente sulle piante, di 0.4.

Localmente le olive sono raccolte a terra. Però in questi ultimi anni la maggior parte dei proprietari si sono forniti di reti che, stese sotto le piante, danno la possibilità di raccogliere le ulive senza che tocchino il terreno. Quest'ultimo ritrovato però, mentre facilità i proprietari, danneggia la mano d'opera che vede venire meno la possibilità di lavoro.

Dopo la raccolta le olive sono sottoposte alle operazioni di pulitura dalle foglie, pietre ecc., di cernita e lavaggio.

Segue la molitura in frantoi o in frangitori che riduce il prodotto ad una pasta ricca di olio. Questa pasta, confezionata in fiscoli o in gabbie metalliche con dischi filtrati, è sottoposta a spremitura in torchi idraulici o presse, in modo da ottenere un succo formato da una parte acquosa e da una parte oleosa.

La parte oleosa viene separata da quella acquosa per decantazione o per centrifugazione e viene quindi chiarificata per filtrazione.

Si ottiene così l'olio vergine, che in certi casi è sottoposto a demargarinizzazione. La pasta residua della prima spremitura viene rimescolata, eventualmente addizionata di acqua calda e sottoposta a spremiture successive.

I residui dell'ultima spremitura costituiscono le sanse, dalle quali si può ricavare altro olio, di qualità inferiore, con il frullino o per estrazione con i solventi. Le sanse esaurite sono usate come mangime, concime o combustibile.

In base alla lavorazione si distinguono diversi tipi di olio, che fondamentalmente risalgono al fatto che il prodotto non abbia subito manipolazioni chimiche e derivi unicamente dalla spremitura del

frutto.

Si hanno così oli extra, sopraffini, vergini d'oliva, oppure rettificati.

Le caratteristiche comunque devono essere di limpidezza, colore giallo-verde, gusto gradevole, punto di solidificazione intorno ai 61 C, acidità inferiore al 4% e peso specifico all'incirca 0,915.

L'economia di Piedimonte riceve un notevole impulso anche dalla produzione di un ottimo vino, il falerno.

Il vino falerno si produce nei vigneti che sorgono sulle pendici del monte Massico ed è tra i più famosi e robusti dell'antichità romana; fu celebrato in modo particolare da Orazio, Marziale, Catullo e Virgilio.

I buon gustai, per poter bere un boccale di Falerno vecchio, a Roma o a Pompei, dovevano sborsare parecchie monete. Era particolarmente apprezzato per l'alta alcoolicità, per il gusto e per il colore.

Furono gli Aminei, verso I'VIII secolo a.C. ad introdurre la vite nei paesi degli Ausoni. Nel territorio del Falerno, alle pendici del Massico, la pianta attecchì in maniera straordinaria e diede un'uva saporosa. Il vino che se ne traeva divenne uno dei più conosciuti nel bacino del Mediterraneo.

I Romani lo chiamavano "nigrum" oppure "fuscum" e lo distinguevano in "subdulce" e "austerum", dolcetto e asciutto robusto.

Come gradazione alcolica era la massima che vino potesse raggiungere dopo la prima e la seconda fermentazione.

I Romani e i Greci usavano bere mescolati due terzi di vino e uno di acqua.

Gli intenditori però, oltre a berlo puro, lo gustavano anche misto a miele.

In questo consisteva il vino melato, il liquore dei tempi antichi che si beveva nei banchetti di festa o funebri, dopo aver mangiato la caratteristica focaccia detta "crustum".

Il Falerno però oltre ad essere il principe della tavola romana era usato anche come correttore dei vini di Sorrento e del colle Vaticano e veniva bevuto dopo alcuni lustri.

Scriveva Petronio nel "Satiricon"9 nella famosa "Cena di Trimalcione": " ... intanto portavano anfore di vetro accuratamente sigillate col gesso, sull'etichetta di tela, che era attaccata al collo si leggeva: "Falerno del consolato di Opimio, anni cento". Mentre i commensali guardavano questa scritta Trimalcione batté dolorosamente le mani dicendo: "Ahimè! Il vino ha dunque una vita più lunga di noi tutti, fragili creature umane? Ma noi ci vendicheremo bevendolo tutto. Nel vino è la vita, questo poi è di Opimo, garantito......

In un epigramma rinvenuto tra le rovine delle terme di Sinuessa, attribuito a Teogane, storico greco, oltre alle lodi per la zona, il mare e il paesaggio, troviamo quelle che si riferiscono ad un suo lieto soggiorno a Sinuessa tra bicchieri scintillanti di "oblioso" Massico o di "amaro Falerno".

Virgilio nelle Georgiche, Lib.. 11, vv. 143/44 scriveva:

"Sed gravidae fruges et Bacchi Massicus humor implevere, tenent olea armentaque laeta".

Le nostre terre sono piene di abbondanti frutti, di Massico umore

di Bacco (il vino), di olio e di lieti armenti-

Orazio nel libro 1, Ode 1, v. 19 scrive:

"Est qui nec pocula Massici... spernit".

Vi è chi pensa a bere il vino Massico.

Dionisio di Alicarnasso dichiarava che il Falerno era soave e di bel colore:"soave et pulchri coloris"

Plinio lo diceva "austerum ". che fa tentennare il capo e addolora la testa.@ 3

Strabone dichiarava il Falerno "vinum optimum .

Cicerone elogia il Falerno scrivendo che il vino del Massico l'ha trovato sempre buono:

"... cuius vinum mihi semper bonum visum est" e aggiunge che è "firmissimum, generosum ac praecipuae bonitatis", fermissimo, generoso e di precipua bontà.

Marziale lo chiama immortale: "Adde, quid cessas, puer, immortale Falernum... ?"

Versa ancora, perché sospendi, o fanciullo, di mescere l'immortale Falerno?

Tra i Romani chi era sprovvisto del Falerno si sentiva umiliato di fronte agli invitati. Così avvenne per Orazio che avendo come ospite a cena il suo amico e benefattore Mecenate, così si scusò:

"Caecubum et prelo domitam caleno tu bibes uvam; mea nec Falernae temperant vites neque Formiani pocula colles". (Lib. I, Ode XX)E voleva dire: Tu, o Mecenate, potrai bere alla mia cena il vino Cecubo e quello ricavato dall'uva spremuta con torchio caleno, ma non il Falerno, perché né le viti Falerne, né i colli Formiani regolano i miei bicchieri.

Ma il tanto decantato Falerno antico è quello che si produce anche oggi sulle falde del Massico sia a Piedimonte che a Mondragone e Falciano?

Se parliamo di vite Falerna dobbiamo dire che quel vitigno antico, attraverso i secoli, si è esaurito, inselvatichito tra gli arbusti del Massico.

Se parliamo invece di un buon vino, come quello antico, allora la risposta è si.

Infatti l'attuale Falerno anche se non è prodotto dall'antico vitigno, tuttavia lo si può ritenere uguale, se non migliore, perché la varietà delle viti è superiore.

L'attuale Falerno è il primitivo che viene prodotto nel territorio di Piedimonte, ed è come l'antico, robusto, nettareo, indomito, immortale e gradevole, ha il colore dell'ambra.

Un posto notevole nell'economia della zona di Piedimonte è occupato dalla produzione della mozzarella di bufala: soffice, gustosa, leggera, il "formaggio a pasta molle" è il fiore all'occhiello dell'economia Campana.

Era la leccornia preferita dai Borboni, re di Napoli, quando si trasferivano nella Reggia Vanvitelliana di Caserta o quando, stanchi per il passatempo della caccia, si fermavano nelle case di campagna, di proprietà della corona.

In ogni menù, come in ogni stagione, compare la mozzarella di bufala.

La si può servire come antipasto, insieme con il prosciutto oppure inserita come pasta filante tra i maccheroni o tra due fette di pane intinte nell'uovo "in carrozza", oppure in un tegamino a far da cornice al rosso dell'uovo oppure ancora ai ferri.

Le varianti per presentare la mozzarella a tavola sono tante, come tante sono quelle di produzione.

Oltre alle forme tradizionali, che richiamano il seno di una giovane donna (la tradizione infatti sostiene che il modello per i primi caseari sia stato proprio quello), ci sono anche le trecce, le ovoline, i bocconcini alla panna, la burrata, le provole affumicate, la scamorza ecc.

Insomma un campionario da far leccare i baffi ai buongustai e uno stimolo al turista in cerca di sapori perduti.

Don Ernesto ALBANESE